Il sistema di notificazioni telematiche presso il difensore di fiducia nel periodo emergenziale da Covid 19. Profili di incostituzionalità e necessità di normazione in linea con il “giusto processo”.

Come è ormai noto agli operatori del Diritto, l’art. 83 del Decreto legge del 17 marzo 2020, n. 18 (pubblicato nella G.U. n. 70 del 18 marzo 2020) convertito in legge n. 27/2020, ha introdotto misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 e contenerne gli effetti in materia di giustizia civile, penale, tributaria e militare, alcune delle quali di dubbia costituzionalità.

In particolare, fra le misure urgenti in materia penale, i commi 13, 14 e 15 del prefato art. 83 DL n. 18/2020 hanno delineato una deroga, dal carattere singolarmente innovativo, al sistema previsto dal codice di procedura penale delle notificazioni e delle comunicazioni relative agli avvisi ed ai provvedimenti adottati nei procedimenti penali (in specie quelli che fissano le date delle udienze in ragione dei rinvii d’ufficio e tenuto in conto che il concetto di “rinvio d’ufficio”, che evoca il differimento “fuori udienza”, non è previsto nel processo penale, tant’è che non è contemplata dal codice di rito) destinati ad essere portati a conoscenza delle parti processuali;  e ciò, secondo quelle che appaiono essere le intenzioni del “legislatore dell’emergenza”, al fine di consentire agli uffici giudiziari, nella situazione contingente, di provvedere a comunicazioni celeri e senza il necessario di impiego di ordinari organi notificatori.

La richiamata norma, infatti, sancisce al comma 14 che le comunicazioni e le notifiche ex lege dei cennati avvisi e provvedimenti “sono eseguite mediante invio all’indirizzo di posta elettronica certificata di sistema del difensore di fiducia, ferme restando le notifiche che per legge si effettuano presso il difensore d’ufficio”, innovando radicalmente al sistema codicistico, disciplinato dal combinato disposto degli artt. 157 comma 1 e 161 c.p.p., che prevede la notifica “mediante consegna di copia alla persona” nel domicilio eletto.

Fatta salva la notificazione o la comunicazione al difensore d’ufficio nei casi in cui questa è prevista dalla legge (“ferme restando le notifiche che per legge si effettuano presso il difensore d’ufficio” – art. 83, comma 14, D.L. cit.), nel qual caso resta applicabile la disciplina ordinaria e fatte salve le ipotesi, ad esempio, in cui opera la previsione di cui all’art. 161, comma 4, c.p.p., nelle quali si procede alla consegna dell’atto al difensore perché è divenuta impossibile la notificazione nel domicilio eletto o dichiarato ovvero la dichiarazione di domicilio, o la sua elezione è inidonea o insufficiente, ovvero, ancora, i casi in cui è intervenuta una efficace elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio ex art. 162, comma 4-bis, c.p.p., rimane da “indagare” la legittimità della norma in relazione alle difese di fiducia.

Prima facie tale norma, dettata da ragioni di ordine sanitario, potrebbe appalesarsi legittima, soprattutto perché “pensata” allo scopo precipuo di rendere più agevole il notevole carico di lavoro imposto alle cancellerie – vieppiù accentuato dal ricorso al c.d. smart working da parte del personale –  per le comunicazioni e le notificazioni dei provvedimenti di rinvio (salvo, poi,  verificare l’effettiva sufficienza della stessa a tale scopo).

In quest’ottica, la nuova previsione di notificazione via PEC al difensore di fiducia, potrebbe, in sostanza, equivalere ad un rafforzamento del già codificato art.157 co.8 bis c.p.p. (aggiunto dall’art.2 comma 1 del DL 21/02/2005 n.17, convertito nella L.22/04/2005 n.60), “ripulito” della possibilità da parte del difensore destinatario di rifiutare la notifica e scevro dal depotenziamento giurisprudenziale operato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con sentenza 27/03/2008 n.19602 inerente l’avvenuta elezione o dichiarazione di domicilio.

Inoltre, sempre guardando alla normativa ex art.83 comma 14 DL cit. da questa prospettiva, anche con riguardo al numero delle copie dell’atto da notificare via PEC al difensore di fiducia, sembra calzare perfettamente alla fattispecie il dato giurisprudenziale ormai consolidato secondo cui “in tema di notificazione al difensore mediante posta elettronica certificata (c.d. pec), l’invio dell’atto da notificare in un’unica copia al difensore, sia in tale qualità sia in quanto domiciliatario dell’imputato non dà luogo a nullità” (Cass. Pen., Sez.II, 17/01/2019, n.8887).

Secondo questa teoria, quindi, appare ragionevole, in virtù del principio tempus regit actum e della natura processuale della norma, che la sola notificazione o comunicazione al difensore di fiducia sia sufficiente anche quando la notificazione o la comunicazione destinata all’imputato per una udienza che cadeva nel periodo di sospensione dovuta all’emergenza sanitaria non fosse stata regolare. 

Tuttavia, non poche perplessità sicuramente è destinata a suscitare la normativa in analisi, consistente, sostanzialmente, in una sorta di “interruzione legale della conoscenza della progressione del procedimento ai danni dell’interessato, nel caso in cui egli abbia eletto o dichiarato domicilio presso luogo diverso dal difensore di fiducia” (così Malagnino – Giurisprudenza Penale n.3 – 2020), poiché, in sostanza, all’imputato è negata la possibilità di ricevere notizia diretta del differimento del suo processo e della data del prosieguo, rimanendo “nelle mani” (cit. Malagnino – Giurisprudenza penale n.3 – 2020) del difensore di fiducia.

Inquadrando, altresì, la quaestio alla luce della Costituzione, la norma in esame parrebbe ledere alcuni principi nella stessa contenuti ed è di certo prevedibile, tornata la “normalità”, una considerevole quantità di eccezioni di legittimità costituzionale della disposizione stessa, essendo evidente come essa sembri destinata ad andare in contrasto con i principi generali che regolamentano il “giusto processo” ed, in particolare,  con il terzo comma dell’art. 111 Cost., secondo cui “Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato, sia nel più breve tempo possibile informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico …”.

In altri termini, tenuto conto dell’impatto sovente devastante che il processo penale inevitabilmente ha sulla vita delle persone, dal principio del “giusto processo”, garantito dalla Costituzione, discende quale imprescindibile corollario il principio della concreta possibilità di difesa, in base al quale all’imputato deve essere garantito ogni diritto difensivo e deve essere assicurata ogni garanzia, ivi compresa quella relativa alle informazioni in via personale delle sorti del suo processo, quand’anche ci si trovi nell’ambito di una situazione emergenziale.

Sul punto, va infine considerato che al momento non esiste un orientamento giurisprudenziale consolidato ed univoco (essendo la materia troppo “fresca”, per così dire), fatta salva qualche isolata pronuncia, abbracciata da alcune Corti e giurisdizioni di merito che considerano la notifica telematica presso il difensore di fiducia – in presenza di elezione di domicilio altrove – insufficiente per il prosieguo del processo (fra alcuni, ad esempio, il Tribunale Monocratico di Nola).

Emerge, pertanto, la necessità di un “ripensamento” delle norme emergenziali, anche in merito al tema in trattazione e, de iure condendo, di una normazione che si mantenga nell’ambito della legalità costituzionale e che continui a garantire, anche in momenti di profonda emergenza, la tenuta del c.d. “giusto processo”, così come introdotto con la Legge Costituzionale 23/11/1999 n.2.

Tale necessità, si auspica, potrà essere congruamente valutata e soddisfatta dal nuovo Ministro della Giustizia, di recente insediatosi con il Governo Draghi, persona di profonda cultura giuridica, nonché di conclamata esperienza nell’ambito della giurisprudenza costituzionale e, di certo, sensibile alle problematiche che attanagliano il processo, soprattutto in periodi di crisi e di contingenza come quello che il nostro Paese (unitamente al mondo intero) sta attraversando.

di Giovanni Michelangelo Cirillo*
Avvocato, Componente del Comitato Scientifico di APDS

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